La quadreria di palazzo Rossi Poggi Marsili è un luogo pressoché sconosciuto ma che merita assolutamente una visita. Inaugurata nel 2016 nel palazzo di via Marsala 7, a Bologna, la galleria non è una semplice esposizione ma un vero e proprio museo, che conserva e valorizza tavole e tele del patrimonio delle antiche Opere Pie bolognesi.
Curata da Marco Riccomini, raccoglie circa 50 dipinti di pittori prevalentemente bolognesi dal Cinquecento al Settecento. Ogni stanza è a tema e riunisce opere simili per epoca o per stile.
L’edifico ha una facciata imponente, rimaneggiata più volte nei secoli, ed è dominata da un ingresso maestoso che porta in un cortile quattrocentesco, impreziosito da colonne con capitelli in arenaria grigia.
Entriamo ora all’interno del palazzo e andiamo a fare la conoscenza del suo magnifico proprietario: il conte Francesco Rossi Poggi Marsili.

La storia di palazzo Rossi Poggi Marsili
Palazzo Rossi Poggi Marsili deve il proprio nome a una famiglia aristocratica bolognese imparentata sia coi Poggi che coi Marsili, nomi che già conoscete se avete letto gli articoli Visitare il museo di Ulisse Aldrovandi a Bologna e Visitare la Biblioteca Universitaria di Bologna.
L’ultimo proprietario del palazzo fu il conte Francesco Rossi Poggi Marsili, che alla morte (1715) lasciò gran parte dei suoi beni alle opere pie bolognesi. In un’iscrizione posta nell’Arco del Meloncello (alla fine di via Saragozza, dove inizia il portico che conduce al santuario di S. Luca) è ricordato per aver assegnato un lascito testamentario destinato alla costruzione di una rimessa per carri e cavalli dei pellegrini che si recavano alla chiesa.
Il suo lascito più importante fu quello della sua dimora all’Opera Pia dei Poveri Vergognosi, con la clausola che ne diventasse la sede, cosa che è stata fino al 2014 quando le storiche fondazioni di beneficienza bolognesi sono confluite in ASP – azienda pubblica di servizi alla persona.
Cos’erano le opere pie e soprattutto chi erano i poveri vergognosi? L’Opera Pia dei Poveri Vergognosi, il Conservatorio di Santa Marta, il Complesso del Baraccano sono fra le più antiche istituzioni caritatevoli bolognesi.
L’OPPV risale al 1495, quando dieci nobili riuniti nel convento di S. Domenico fondarono la Compagnia de’ Poveri Vergognosi, che aveva lo scopo di “provvedere ai poveri, ai quali era vergogna il mendicare per essere caduti in povertà per disgrazie ed infortuni dei loro stati e condizioni”. Dieci notabili bolognesi, detti Procuratori, sostenevano quindi economicamente i cittadini bolognesi nati ricchi e in seguito caduti in disgrazia per evitare loro la vergogna di mendicare.
Il patrimonio dell’OPPV aumentò nel corso dei secoli grazie ai lasciti delle famiglie nobili. Quando l’ultimo esponente di una famiglia moriva, lasciava tutte le proprietà in eredità all’OPPV: opere d’arte, beni immobili, oggetti d’arredo, paramenti sacri, interi archivi familiari. In cambio, l’OPPV garantiva integrità del patrimonio e si impegnava a perpetuare il nome della famiglia.
Questo è il caso di Francesco Rossi Poggi Marsili, che vediamo qui ritratto nel suo studio da Giovanni Battista Canziani nel 1707, mentre verga l’atto di donazione. Il conte ci accoglie in piedi, sorridente, col tricorno sotto il braccio e lo spadino che spunta tra le gambe. E’ sontuosamente vestito e calzato, come degno del suo rango. Sta accanto a una table habillée su cui sta per redigere la donazione del suo palazzo. Nell’angolo in alto a sinistra lo stemma delle famiglie Rossi Poggi e Marsili dalle quali proviene.





L’OPPV riuscì a mantenere la propria autonomia nel corso dei secoli, sopravvivendo all’occupazione francese del 1796, a quella austriaca del 1799 e anche alla Restaurazione del governo pontificio a Bologna del 1815.
Nel 2014 le storiche istituzioni di beneficenza fondate a Bologna dal XV secolo in poi sono state unificate in ASP-Città di Bologna, l’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, che si occupa di accoglienza e integrazione sociale di anziani non autosufficienti, migranti richiedenti asilo, adulti e minori in condizioni di difficoltà.
Palazzo Rossi Poggi Marsili è oggi uno spazio museale dato alla città e custodisce opere “nascoste” ma non certo minori.

La quadreria di palazzo Rossi Poggi Marsili
La storia della quadreria si intreccia inestricabilmente con la storia di Bologna per due motivi. Qui sono esposti dipinti della scuola bolognese di grande valore artistico e stilistico. Inoltre, tutti questi dipinti provengono dai lasciti delle famiglie nobili bolognesi alle istituzioni di carità.
I 50 quadri sono distribuiti nelle 8 stanze dell’appartamento al pian terreno. Ogni stanza è a tema, e raggruppa opere simili per epoca o per stile.
Apre il percorso espositivo e in un certo qual modo accoglie il visitatore Il Silenzio di Michele Desubleo, detto Fiammingo collaboratore nell’atelier di Guido Reni e considerato dal biografo Carlo Cesare Malvasia uno dei “primi pittori di Bologna”. Un quadro fortemente simbolico: chi è questo giovane bruno e glabro che porta il dito alle labbra? Forse Ermes, che ci invita al silenzio per intraprendere un percorso iniziatico. Forse è lo specchio di noi stessi, che ci riflettiamo nell’ovale della cornice dorata come fosse uno specchio e rimaniamo ammutoliti per contemplare i quadri delle sale successive… Ciascuno è libero di interpretare come crede.

La Stanza dei Benefattori contiene i ritratti del padrone di casa e dei benefattori che destinarono le loro sostanze ai bisognosi. Sulle pareti campeggiano due figure femminili. La prima è quella della marchesa Euride Manfredi Gozzadini ritratta da Giovan Antonio Burrini, uno dei fondatori dell’Accademia Clementina.
Rimasta vedova nel 1707 e morta a sua volta nel 1729, la marchesa lasciò i suoi beni in eredità all’Opera Pia Poveri Vergognosi.
Le cronache di Bologna la ricordano come una donna dal carattere molto vivace e questo ritratto che donò al suo futuro marito prima delle nozze sembra confermarlo.
Spiritosa e fuori dagli schemi, si fece raffigurare nei panni di Pandora, la figura della mitologia greca che pose fine all’età dell’oro per aver aperto un vaso misterioso dal quale scaturirono tutti i mali. Per scherzo, la marchesa si presentò al suo futuro sposo come portatrice di guai!

L’altra figura femminile presente in sala è quella di Dorotea Fiorenza Saccenti ritratta da Cesare Gennari, che reca in mano un ventaglio realizzato in papier à la serpente, di moda nella Francia dell’epoca.

Non posso descrivervi tutti i quadri, ma vi racconterò i ritratti femminili. Nella Stanza Settima dei parenti del Guercino troviamo due quadri usciti dalla bottega bolognese del Guercino, che stava ai piedi della torre Prendiparte, in via Sant’Alò.
Bellissima è la Sibilla Lybia, o Libica, una delle dieci che vivevano, secondo Varrone, in diversi luoghi del bacino del Mediterraneo. Secondo la mitologia greca e romana, le sibille erano profetesse, cioè donne dotate del potere di vaticinare il futuro. Successivamente, le figure delle sibille vennero assorbite dalla cristianità e nei loro vaticini vennero letti i primi presagi della venuta di Cristo.
Il ritratto risale tra gli anni ’40 e ’50 del Seicento. La Sibilla Lybia non ha alcun tipo di attributo al di fuori del libro, che da sempre contraddistingue la rappresentazione delle profetesse.




Nella parete opposta alla sibilla, vediamo la Santa Marta di Cesare Gennari, proveniente dal Conservatorio di S. Marta.
Che cos’era il Conservatorio di Santa Marta? Il nome non deve trarci in inganno. Non si tratta di una scuola di musica, ma di un “conservatorio di putte” cioè di un istituto il cui scopo era quello di “accogliere fanciulle orfane o da potersi considerare come tali, appartenenti a famiglie di ascritti alla beneficenza de’ Poveri Vergognosi, o che abbiano i requisiti per tale ascrizione, perché sia provveduto al loro mantenimento completo, e venga impartita loro un’educazione ed un’istruzione atte a farne buone madri di famiglia”.
Il Conservatorio di Santa Marta fu quindi fondato nel 1505 dalla Compagnia dei Poveri Vergognosi perché le giovani orfane o la cui famiglia non aveva mezzi per sostentarle non cedessero alla prostituzione.
La direzione era nelle mani di 12 governatori e 12 governatrici (dette “madonne”), che avevano il compito di controllare l’andamento dell’istituto. Le gestione quotidiana era invece delle suore Terziare.
Oltre che sostentamento, alle giovani accolte veniva fornita una rigida educazione religiosa, di economia domestica e, soprattutto, professionale, che garantiva la qualità del loro lavoro nell’ambito della produzione di seta ricamata e pizzo.
Il quadro di Santa Marta proviene dal Conservatorio omonimo. L’episodio narrato viene dalla tradizione provenzale.
Attorno al 48 d.C., Marta di Betania, sua sorella Maria e il fratello Lazzaro, approdarono nel sud della Francia, nei pressi della località di Les Saintes-Maries-de-la-Mer. Guadando il Rodano, Marta incappò nell’orrendo mostro detto la Tarasca. Per liberare la popolazione la santa asperse il drago con l’acqua benedetta e tracciò il segno della croce. Miracolosamente, la tarasca si rimpicciolì fino ad assumere la forma di una lucertola e strisciò ai piedi della santa completamente domato. Marta lo legò alla sua cintura e la portò nella città, che da allora è conosciuta, appunto, come Tarascona.
La leggenda è interpretabile come metafora della cristianizzazione del territorio e la cacciata del paganesimo.




Un’altra raffigurazione di Marta la troviamo nella Stanza Terza, il Cinquecento, dove troviamo il Cristo in casa di Marta e Maria opera a 4 mani di Prospero e Lavinia Fontana, un tempo nel Conservatorio di Santa Marta.
Prospero Fontana, manierista, aprì una scuola a Bologna che contribuì allo sviluppo della pittura emiliana. Alla scuola si formò sua figlia, Lavinia, dotata di grandissimo talento per i ritratti. Gli storici dell’arte riconoscono la mano del padre nella figura di Cristo e quella di Lavinia nelle due donne.
Questa volta l’episodio che vede protagonista Marta è presente nel Vangelo di Luca (10,38-42). Gesù si reca nel villaggio di Betania, presso la casa delle di Marta e Maria, sorelle di Lazzaro. Mentre Marta si mette immediatamente al lavoro per accogliere Cristo, Maria si siede ad ascoltarne le parole. Spazientita e affannata, Marta (col grembiule) dice alla sorella di alzarsi e andare ad aiutarla. Ma Gesù le risponde: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose! Una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore e nessuno gliela porterà via”. Cristo invita Marta a non sacrificare la vita contemplativa preferendole quella attiva.




Finisco queste brevissimo excursus portandovi con me nella Stanza Quarta, dei Franceschini dove potrete ammirare quattro dipinti usciti dalla bottega di Franceschini. Di Marcantonio Franceschini (Bologna 1648-1729) è esposta la tela Susanna e i vecchioni.
Si tratta di un episodio biblico narrato nel libro di Daniele. La bellissima Susanna sta facendo il bagno nel giardino privato, quando viene sorpresa da due vecchi lascivi, che si erano introdotti furtivamente nella sua dimora.
I vecchi tentarono di sedurla, minacciando di accusarla pubblicamente di adulterio se non si fosse concessa. Susanna non cedette e fu trascinata in tribunale, deve fu riconosciuta colpevole e condannata a morte per lapidazione, secondo la legge dell’epoca.
A quel punto il giovane Daniele, presente in tribunale, intervenne pretendendo che fosse condotta una vera e propria indagine, prima di giustiziare Susanna. Interrogati singolarmente, i due uomini riferirono due versioni differenti e il loro inganno fu scoperto.
Mi ha particolarmente colpita la collana di perle inserita da Franceschini come simbolo del tentativo di corruzione di Susanna!


Nella stessa stanza è esposta la Madonna col Bambino di Elisabetta Sirani (Bologna 1638-1665), ritratta con un libro aperto in mano!

Vi lascio altre due suggestioni, che sono certa vi incuriosiranno. La Quadreria ospita anche
- la Ruota degli Esposti, cioè una cassetta di legno in cui le madri che non potevano permettersi di tenere i propri figli li abbandonavano, in forma anonima, presso istituzioni che avrebbero provveduto alla loro cura
- la Sala delle Mappe, in cui sono esposte 5 mappe originali, realizzate alla fine del XVII secolo, edizioni italiane di stampe cartografiche olandesi. Raffigurano il globo terrestre, nel grande planisfero “Nova Totius Terrarum Orbis Tabula”, e i quattro continenti conosciuti all’epoca. In un certo qual modo erano una “finestra sul mondo” per gli europei del Seicento.
La Quadreria di palazzo Rossi Poggi Marsili: come organizzare una visita guidata
Organizzare una visita guidata alla collezione di quadri e tele di palazzo Rossi Poggi Marsili è facilissimo! Negli orari di apertura la Quadreria offre un servizio di visite accompagnate gratuite a cura del personale del museo. Le visite durano 30 minuti, il numero massimo dei visitatori che possono accedere agli spazi del museo è pari a 8 persone.
La prenotazione non è obbligatoria ma consigliata. La visita è gratuita. Qui http://www.laquadreria.it/it/info-e-contatti/ orari e contatti.
Guide turistiche Bologna
- Bologna sacra. Tutte le chiese in due millenni di storia, di Marcello Fini
- Bologna, TCI
- Bologna, I Meridiani
- Bologna in tasca. Guida agile della città, Minerva Edizioni
- Bologna città universitaria, National Geographic, Traveller
- Bologna di Adriana Malandrino, Lonely Planet, Pocket
- Bologna, una guida
- Bologna. Una Provincia cento musei, Pendragon
- Bologna… a piedi. Con audioguida scaricabile online, Taita Press
- Storie segrete della storia di Bologna. Curiosità, misteri e aneddoti della città delle torri di Luca Baccolini, Newton Compton editore
- Bologna insolita e segreta di Davide Daghia, Edizioni Jonglez
- 101 cose da fare a Bologna almeno una volta nella vita di Margherita Bianchini, Newton Compton editore
- 111 luoghi di Bologna che devi proprio scoprire di Devis Bellucci, Emons
- La storia di Bologna. Dalla preistoria ai giorni nostri di Eleonora Fatigati, Typimedia editore
- Guida di Bologna per piccoli turisti