Bologna e la ceroplastica

La ceroplastica è la tecnica di fabbricare figure di cera. E’ una tecnica molto antica e nacque con un fine puramente estetico, tanto che può essere considerata una vera e propria forma artistica.

Le figure realizzate in cera sono davvero emozionanti. La resa mimetica della cera è, infatti, sorprendente e insuperabile rispetto a qualsiasi altro materiale. Stupore, disagio, meraviglia… I simulacri, col loro esasperato realismo, suscitano in chi li osserva i sentimenti più diversi. Ma certamente nessuno può restare indifferente!

Pochi sanno che nel Settecento la città di Bologna fu la vera e propria capitale della ceroplastica anche grazie alla presenza in città dell’Ateneo e di rinomati plasticatori.

Dal 19 novembre al 10 aprile 2023 è allestita al Museo Davia Bargellini «Verità e illusione: figure in cera del Settecento bolognese», la prima mostra dedicata alla ceroplastica frutto della collaborazione tra i Musei civici e il Museo di Palazzo Poggi dell’Università.

E’ un’occasione più unica che rara di vedere le figure in cera appartenenti a collezioni private di famiglie patrizie locali, finora inaccessibili, e le opere delle Stanze di Anatomia dei musei universitari!

Se abitate in zona o se siete turisti e vi capita di trascorrere qualche giorno qui, approfittate della mostra per accostarvi a questa antichissima arte che viene ancora oggi praticata da artisti contemporanei. Avete presente HIM, la scultura efebica di Hitler in ginocchio firmata Maurizio Cattelan? Bene, è fatta di cera!

Filippo Scandellari (Bologna 1717-1801), San Pietro, 1744 circa. Bologna, chiesa di S. Maria della Pietà

Che cos’è la ceroplastica

Con la parola ceroplastica si intende l’arte di plasmare figure in cera per i più svariati scopi: devozionale, ludico, per fini magici o per riprodurre il volto dei defunti.

La cera fu uno dei materiali più usati dagli scultori, innanzitutto perché era economica e facile da reperire.

Inoltre, la cera d’api ha un punto di fusione relativamente basso e si presta ad essere facilmente plasmata. Questa caratteristica permetteva all’artista di apportare correzioni alla sua opera (come aggiunte o sottrazioni) in qualsiasi stadio della lavorazione.

La cera veniva preparata con additivi, come il sego (grasso animale) e la trementina, che conferivano all’impasto maggior plasticità. L’aggiunta di pece o resina, invece, forniva una maggiore durezza.

Grazie alla sua duttilità e alla possibilità di variarne la consistenza, la cera poteva essere lavorata secondo le tradizionali tecniche scultoree: modellatura, fusione in stampi e intaglio.

Benvenuto Cellini ne “I trattati dell’oreficeria e della scultura” scrisse come la si usa:

Questa cera si fa così: pigliasi cera bianca pura e si mescola con la metà di biacca ben macinata con un poco di trementina chiarissima; questa vuol essere più o manco, secondo in che stagione l’uomo si truova, perché, essendo di verno, tu gli puoi dare più trementina la metà che la state. Di poi con certi fuscelletti di legno questa cera si lavora in su un tondo di pietra o d’osso o di vetro nero.

Una volta preparato l’impasto, si procedeva con la colorazione, ottenuta mediante l’aggiunta – allo stato fuso – di pigmenti in polvere, oppure con la doratura e/o argentatura. La colorazione con pigmenti poteva essere fatta anche dopo la modellazione.

La lavorazione del modellato avveniva servendosi di strumenti simili a quelli per la lavorazione dell’argilla: stecchi d’osso, ferro o legno.

La figura veniva montata su supporti portanti (a volte veri scheletri) e abbellita con ornamenti. L’applicazione di occhi di vetro, capelli, peli e unghie, di vestiti di stoffe preziose, e di accessori come fili d’oro, perle e coralli assicurava risultati di sorprendente realismo.

L’inserimento in teche di vetro (le scarabattole) salvaguardava l’integrità dei fantocci e circoscriveva l’ambientazione in una sorta di scatola scenica.

Angelo Gabriello Piò (1669-1759), Ritratto dell’architetto Carlo Francesco Dotti, post 1759. Bologna, Santuario della Beata Vergine di san Luca
Particolare della “scarabattola” con i ferri del mestiere

La storia della ceroplastica

Sappiamo per certo che la cera venne impiegata da tempi remoti, ma a causa della grande deperibilità sono giunti fino a noi solo rari esemplari della ceroplastica antica.

La ceroplastica antica

Gli Egizi utilizzavano la cera per la creazione di piccole figure di carattere magico-religioso, ad esempio gli amuleti. Nell’antica Grecia si fabbricavano bambole col viso di cera (pupae), così come i Romani facevano piccole figure per divertire i bambini.

I Romani usavano la cera per altri due scopi. Plinio racconta che nell’atrio delle case, disposte ordinatamente dentro nicchie delle pareti, stavano le imagines, cioè i ritratti degli antenati in cera dipinta, in modo nella domus fosse sempre presente la folla dei familiari vissuti in passato. Queste imagines accompagnavano i funerali gentilizi e venivano incoronate di fiori e alloro in occasione di matrimoni, nascite o festività. 

Queste immagini si chiamavano cerae o cerae pictae, perché le maschere venivano colorate, per ravvivarle e renderle più vicine al naturale.

Nelle case di qualsiasi ceto sociale erano poi presenti statuette in cera di soggetti allegorici o di divinità (lares). 

La ceroplastica votiva

Come ci riportano fonti scritte, fin dall’antichità la cera fu usata anche per realizzare modelli di organi malati o sani come offerte votive, ma purtroppo anche in questo caso nessun oggetto è giunto fino a noi.

Dal Duecento fino a tutto il Seicento, in Italia e in Francia, gli scultori modellavano figure votive di cera. La chiesa di S. Maria delle Grazie nei pressi di Mantova, celebre per le 53 macabre statue polimateriche, è decorata da un gran numero di ex-voto anatomici in cera disposti lungo le pareti e le colonne.

A Firenze erano famosissimi i boti, cioè degli ex-voto in cera che i pellegrini portavano alla Madonna di Orsammichele prima e a quella della Santissima Annunziata poi. I boti erano di tutti i tipi e rappresentavano membra o parti di esse, ritratti, oggetti e anche animali. Riempivano i ballatoi della chiesa dell’Annunziata ed il chiostro anteriore prese il nome da questi. Si narra che nel 1447 non ci fu più spazio e si dovettero costruire dei palchi ai lati della porta d’entrata. Quando anch’essi furono pieni si cominciò ad ad appendere le figureal soffitto per mezzo di funi.

Purtroppo questa magnifica collezione di offerte votive andò distrutta nel 1785 sembra per volere del granduca giansenista Pietro Leopoldo di Lorena che invitò il clero ad eliminare dalle chiese tutti gli ex voto.

Luigi Dardani (Bologna, 1723-1787), Ritratti di Monsignor Francesco Zambeccari

La ceroplastica funeraria

L’uso funerario delle figure in cera si attesta fin dalla metà del Trecento, alle corti di Francia e d’Inghilterra, e anche presso la repubblica di Venezia. Dal Trecento in poi i cadaveri vengono sottratti alla vista durante le cerimonie funebri e nei funerali di personaggi illustri viene introdotta l’immagine di cera per sostituire il defunto. Il calco per la maschera funeraria viene preso direttamente dal volto del cadavere per ottenere una somiglianza perfetta.

Questi ritratti a grandezza naturale nel Quattro-Cinquecento vengono vestiti con gli abiti del defunto e posti nelle chiese.

In questo periodo l’arte della ceroplastica a uso funebre raggiunge il vertice sia dal punto di vista artistico che da quello della notorietà ed è diffuso in tutta Europa. Alcuni modellatori raggiunsero la celebrità e venivano chiamati a riprodurre l’effige di sovrani e pontefici, morti e vivi.

L’uso di esporre in chiesa i ritratti funerari iniziò a decadere all’inizio del Seicento. Anche di questo tipo di immagini non ci è giunto molto.

Filippo Scandellari, Ritratto di Anna Maria Callegari Zucchini, 1742. Bologna, collezione privata

Bozzetti in cera

Nel Medioevo e in epoca moderna gli scultori ricorrevano alla cera anche per fare bozzetti di opere da realizzare in materiali più nobili (marmo, metallo, pietra…) e con proporzioni maggiori. Già a metà del Quattrocento, nel suo Trattato, il Filarete fornisce alcune informazioni relative all’uso della cera per la realizzazione di modelli in scala ridotta di opere future:

Lo intagliare quando s’intende bene il disegno è facile cosa: un poco di pratica bisogna, se di cera volete intagliare; perché a chi volesse fare di bronzo è mestiere fare prima di cera, e la cera vuole essere fatta nera e amorbidilla con trementina e sevo, e poi carbone pesto per farla nera, benché chi volesse si potrebbe colorire d’ogni colore: bianca, rossa, verde, azzurra, gialla, e d’ogni colore insomma si può fare.

La ceroplastica anatomica a Bologna

A partire dal Rinascimento si assiste anche alla riscoperta del corpo umano: medici e artisti, spinti da un forte interesse per l’anatomia, studiano i cadaveri. E’ però nel Cinquecento che scoppia una vera e propria febbre per l’anatomia e si sente il bisogno di diffondere le conoscenze al pubblico in maniera più approfondita. Nel secolo successivo in tutte le università d’Europa l’autopsia diviene pratica comune, le dissezioni si spostano nei teatri anatomici, diventano uno spettacolo per il quale il pubblico pagava un biglietto.

A partire dalla fine del Seicento, anche in conseguenza della scarsa disponibilità di cadaveri per le dissezioni e degli scadenti risultati ottenuti nella conservazione dei pezzi anatomici, incominciò a diffondersi in tutta Europa l’anatomia plastica, cioè l’arte di riprodurre a scopo didattico figure umane intere o parti anatomiche in materiali diversi (avorio, bronzo, gesso, legno, cera).

La cera era il materiale che meglio si prestava a rappresentare nel modo più fedele possibile i vari organi del corpo umano. Bologna fu ai primi posti nella ceroplastica anatomica.

Nel corso del Settecento i preparati anatomici in cera colorata interessano tutta l’Europa. Nascono intere collezioni anatomiche in cera, pensate per la preparazione degli studenti di medicina. Nella prima metà del secolo, a Bologna, è attivo Ercole Lelli, anatomista, scultore, pittore e ceroplasta.

Ercole Lelli, Autoritratto con la statuetta anatomica, 1742

Nel 1732 Lelli creò una statuetta anatomica che ottenne uno straordinario successo. Nel 1733-34 creò due statue maschili in legno (chiamate “Gli Spellati”), frutto di uno studio che aveva richiesto la dissezione di “nulla meno di cinquanta cadaveri”, per il teatro anatomico dell’Archiginnasio di Bologna.

Nel 1742, in occasione dell’apertura della Camera della Notomia dell’Istituto delle Scienze, Lelli fu incaricato di eseguire otto statue anatomiche in cera di grandezza naturale, fra cui due nudi e sei scorticati, e oltre quaranta tavole raffiguranti vari muscoli e ossa dello scheletro.

Suo collaboratore, anche se per poco tempo, fu Giovanni Manzolini. In seguito i due si separarono e Manzolini continuò l’attività di ceroplasta aiutato dalla moglie Anna Morandi.

Alla morte del marito, la Morandi continuò a modellare preparati anatomici in cera colorata raggiungendo un tale livello di bravura da ricevere offerte di lavoro in tutta Europa, offerte che sempre rifiutò per accettare una cattedra di anatomia a Bologna.

Giovanni Minzolini
Anna Morandi Minzolini

Bellissime, a Palazzo Poggi, le ceroplastiche della Morandi e di Minzolini dove marito e moglie sembrano ancora dialogare a poca distanza: lei, in abiti ricercati, mentre sta compiendo la dissezione anatomica di un cervello, lui, altrettanto elegante, mentre si sta occupando di un cuore.   

Le cere bolognesi del Lelli, riguardanti l’Osteologia e la Miologia, e quelle dei coniugi Manzolini, comprendenti anche gli organi di senso, di visceri e di ostetricia, sono i più antichi preparati anatomici in cera conosciuti.

A Palazzo Poggi potete anche vedere la Statua di donna giacente, detta “Venerina“, una statua in cera realizzata tra il 1780 e il 1782 dal ceroplasta Clemente Susini (1754-1814). Il preparato riproduce un giovane corpo di donna con gli organi interni amovibili, per una dissezione virtuale che dagli strati più superficiali permette la visione delle parti più profonde del corpo.

Clemente Susini (1754-1814), Statua di donna giacente, detta “Venerina

Le opere di ceroplastica anatomica sono state risparmiate nei secoli, e sono giunte fino a noi più o meno intatte per l’interesse scientifico, più che artistico, che suscitavano.

Ritratti in ceroplastica

A partire dal Cinquecento la cera venne usata anche per plasmare ritratti veri e propri, sotto forma di busti, rilievi e medaglioni. Frequenti furono soprattutto i medaglioni-ritratto, specialmente di artisti italiani, come Benvenuto Cellini.

Nella Bologna di papa Benedetto XIV la ritrattistica in cera si affermò tanto da porsi quasi in concorrenza con le altre arti tradizionali (la pittura, la scultura in terracotta).

Perfettamente rispondenti all’esigenza di aderenza al “vero” e al “vivo”, i busti in cera conquistarono gli aristocratici e gli appartenenti alle famiglie borghesi più importanti della città, che commissionarono ai plastificatori locali dei magnifici ritratti.

Ben presto il ritratto in cera divenne una moda e nobili, prelati e persone “in odore di santità” si fecero fare busticomposizioniprofili iperrealistici.

Giovanni Battista Bolognini (Bologna, 1698-1760), Ritratto di Giuseppe di Ippolito Pozzi, 1752, Bologna, Collezioni Comunali d’arte

Verità e illusione Figure in cera del Settecento bolognese

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